
Venerdì 2/6 avrà luogo il La Scuola Che Funziona Camp.
La Scuola Che Funziona è un network di persone interessate a nuove pratiche di miglioramento dell’insegnamento e dell’apprendimento, alla condivisione di risorse e al confronto su temi critici inerenti la scuola in generale. Chiunque può iscriversi e partecipare in una varietà di modi. Quindi il network, le attività e i prodotti che ne scaturiscono sono tutti delle emergenze della rete.
È uno dei fenomeni più interessanti che abbia osservato in tempi recenti, sono quindi curioso di partecipare al camp, convinto di avere molto da ascoltare e da apprendere. Avendo tuttavia partecipato a qualche attività nel network mi capita di essermi impegnato a fare un intervento, come molte altre persone.
Dopo varie esitazioni il titolo si è cristallizzato in “Cercare comunità in classe”. Inizialmente avevo pensato di descrivere gli aspetti tecnici di un metodo che ho sviluppato per tracciare le attività di una comunità di blog, quelle comunità che cerco di far nascere nelle mie classi di informatica o di tecnologie online in vari corsi di laurea.
Ne verrebbe fuori tuttavia una mera relazione tecnica e io sono stanco di non centrare il nocciolo dei problemi perdendo tempo con gli “aspetti tecnici” e i “risultati preliminari”. Le tante relazioni ai congressi, le conferenze e le tavole rotonde che ho vissuto da spettatore e talvolta da relatore, in veste di “specialista”, ora mi appaiono quasi del tutto inutili.
Quel poco che ho fatto e quel poco a cui ho potuto contribuire poteva esser fatto quasi sempre senza andare da nessuna parte, leggendo gli articoli degli altri, parlando con i propri collaboratori, comunicando con la gente nel mondo mediante lettere e poi email, scambiandosi dati di ogni genere per posta e poi in Internet.
Tutti questi eventi, dove tanti comunicano piccole quantità di informazione ma nessuno impara significativamente qualcosa, sono uno dei sintomi di una grave malattia della cultura, una malattia che può rivelarsi mortale: la compartimentazione in discipline sempre meno comunicanti fra loro. In un sistema sano, congressi, conferenze e tavole rotonde dovrebbero servire ad unire saperi e prospettive invece di frammentare ulteriormente le conoscenze. Dovrebbero servire a scoprire corrispondenze, analogie, ad estendere metodi a campi diversi, a capire quale sia, all’interno del sistema, il senso del particolare che si è scoperto o risolto e come questo, a sua volta, influenzi il sistema e da esso sia a sua volta influenzato.
E non si tratta di rinunciare al pur necessario approfondimento specialistico, che si realizza in laboratorio o nello studio e i cui dati possono essere comunicati facilmente in uno dei tanti modi oggi disponibili. Si tratta di evitare di riunirsi, ossessivamente, senza avere niente da narrarsi.
Io credo che abbia senso riunirsi solo se ha luogo una narrazione e una narrazione ha bisogno di un filo conduttore e di una scena. Domani narrerò quindi la storia di un uomo che vive un conflitto fra le esigenze generali di un sistema e quelle particolari di coloro cui il sistema dovrebbe servire. Una storia che nasce in una classe per librarsi nella noosfera.
ah gli errori di distrazione!
grazie
ho corretto … 😉
il camp è il 2 non il 6!!!!!