Daily: pensare semplice

Sociogramma 3 aprile 2011
Sociogramma 3 aprile 2011. I nodi rossi sono studenti di medicina, i nodi blu cyberstudenti, il nodo celeste è il docente. Una linea che congiunge due nodi significa che almeno uno dei due ha fatto almeno un commento ad un post dell’altro.

Molto interessante l’osservazione di Davide, cyber-non-so-cosa, insomma punto blu. La riporto per intero:

Mi viene in mente che il framework concettuale – per parlar difficile – del sitema Google, esisteva fin dalla fine dell’800 – ma fino a trent’anni or sono lo usavano solo i botanici.
Quelli che in statistica e analisi numerica si chiamano “metodi di ordinamento” (PCA, DCA etc.) lavorano in questo modo; prendono un insieme di oggetti (fiori, conchiglie, bottiglie di vino) e li dispongono in un ordine arbitrario in base ai loro carateri (il colore, la forma, il sapore del vino), e poi si vede se da questa disposizione arbitraria emergono dei gruppi, delle categorie.
Oggi i metodi di ordinamento sono piuttosto diffusi nele scienze ambientali, perché permettono di classificare “oggetti” i cui caratteri sono spesso definiti qualitativamente. Sciocco a non pensarci prima.


Vero ma molto comune, alla faccia di chi pensa che il progresso – non ci soffermiamo troppo su questa onerosa parola … – sia una faccenda lineare, di susseguenti verità svelate.

Innumerevoli volte, forse il più delle volte, grandi o comunque significative idee hanno galleggiato da qualche parte, ben visibili ma intrappolate, come foglioline in qualche risacca del torrente. Un po’ a causa della perniciosa ossessione di dividere il mondo in discipline, ognuna zappettata da ricercatori a capo chino – per questo non amo usare il termine scienziati, di quelli non ce nè quasi più – e un po’ perché le idee diventano visibili quando i tempi sono maturi. Vengono scritte nella noosfera con l’inchiostro simpatico.

In fin dei conti, almeno per quanto riguarda la relatività speciale, Einstein non fece grandi conti ma riflettè su quelli che erano già stati fatti. Ci riflettè con animo nuovo, non toccando quasi niente e guardando la cosa dalla prospettiva che si rivelò giusta. L’idea era lì, già pronta, sostenuta da evidenze sperimentali e da equazioni, ma gli accademici stavano guardando tutti dalla stessa parte. C’è voluto un giovanotto che lavorava part time all’ufficio brevetti di Zurigo per guardare dalla parte giusta …

Attiene anche alla capacità di guardare alle cose come fanno i bambini. Se n’è gradevolmente conversato oggi con Mariaserena nel seguito di un post sull’insegnante “scienziato”, scritto da Gianni Marconato.

Attiene alla capacità di pensare semplice, come dice Alibianchi:

Quando le cose sono complicate, è utile pensare semplice

Ci vuole grande disciplina e impegno perché non è affatto semplice pensare semplice, dopo avere studiato tanto …

10 pensieri riguardo “Daily: pensare semplice”

  1. Si è così…difficile pensare semplice dopo aver studiato tanto…non è semplice associare nozioni apprese per dare una risposta di qualità ad un problema. Ma il bagaglio di conoscenze, come quelle fornite dalla matimatica, “metodo di orientamento”, sociogrammi,credo possano aiutare a formare un “ragionamento logico”. L’opposto di bianco, non è nero, ma è non bianco.Ci vuole disciplina, impegno ed esercizio continuo perchè un pensiero logico possa condurre al “pensare semplice”.Non è affatto facile.Per personalità geniali come Einstein e Mark Zuckerberg(facebook),oltre la capacità di guardare dalla prospettiva giusta,ritengo ci sia stato anche un grande intuito, per M.Z. anche altro…diciamo fortuna…

  2. A proposito del fatto che non è affatto semplice pensare semplice, mi viene in mente quel fantastico pensiero che Pascal scrive ad un amico come chiosa a quella lettera che gli sta inviando; gli dice: scusami se ho fatto questa lettera così lunga ma non ho avuto tempo per farla più breve. E’ un pensiero fantastico; ma è un paradosso, che però esprime efficacemente, secondo me, quanto il raggiungimento di un pensiero semplice ma documentato e maturo sia il frutto di un lungo lavoro di meditazione e ricerca. La brevità sta nella sintesi ma la sintesi è il risultato di un processo elaborato, nient’affatto elementare.

  3. Sono d’accordo Andreas, ciò che ci modifica o anche un cambiamento imprevisto è un’occasione anche se lì per lì, può considerato come un inconveniente.
    L’educazione e la formazione si occupano di questo? Non abbastanza, mi sembra.
    (Ci hanno pensato invece “quelli della flessibilità” compulsiva e sfruttata. Ma quella è tutt’altra storia)
    Temo soprattutto convinzioni incistate, le ostinazioni, le… cementificazioni delle idee, le cristallizzazioni: mi fanno sempre pensare a quegli insetti imprigionati dall’ambra. brrr

  4. ciò che ci (eventualmente) modifica dev’essere percepito come un’occasione, e la formazione dovrebbe migliorare la capacità di valutare le occasioni al riparo dei pregiudizi e quindi, eventualmente, di coglierle, consapevoli degli inevitabili rischi

  5. Il galleggiamento di idee impigliate come foglioline (di cui è difficile accorgersi) mi fa pensare ad un paio di cose ad esempio:
    a) il modo diverso che hanno i bambini di osservare il mondo circostante e le cose (e l’eventuale perdita delle capacità di vedere foglioline)
    b) quello che percepiamo ci modifica.
    Un bambino (su cui il conformismo non abbia ancora fatto danni), fortunatamente, non considera ciò che lo circonda secondo categorie gerarchiche di importanza, ma non per questo è meno recettivo. Anzi. E non sempre le persone adulte perdono questa caratteristica: semmai la reprimono, e durante il corso della vita la ritroviamo e riperdiamo più volte.

    Nella mia vita a scuola questo genere di riflessioni mi ha portato (nel tempo) a tener presente che il modo in cui siamo percepiti ed ascoltati dai nostri studenti è diverso per ciascun ricevente: so che non è un’osservazione particolarmente originale, ma noi come insegnanti, a volte, la dimentichiamo e forse ci sarebbe più utile (e semplice di alcune teorizzazioni generalizzanti.

    Consideriamo invece le ipotizzate perplessità su eventuali “mutazioni digitali” da esposizione allo schermo. A me pare che non possiamo sottrarci alle evidenze: gli stimoli e i messaggi (e ogni forma di comunicazione affettiva, sociale, emotiva) che un bambino, ma non solo lui, riceve fin dalla nascita lo modificano (anche il tipo di alimentazione ci modifica); quanto poi questa modifica diventi mutazione è difficile da stabilire; come tutto questo influenzi le sue/nostre scelte di vita future, la sua speranza di essere felice, la capacità di apprendere (o insegnare), le possibilità di vivere relazioni sociali soddisfacenti ecc non possiamo determinarlo teoricamente: come negarlo?
    Tornando all’esposizione al digitale: il come e il quanto influenzi non si può stabilire non un pregiudizio, ma con l’osservazione.
    Ma io farei attenzione: ogni volta che andassimo a valutare una persona, bambini compresi, potremmo cadere nella tentazione di sentenziare moralisticamente anche perchè molti di noi amano ciò che ci assomiglia e rifiutano ciò che non capiscono o è diverso.
    Perciò io consiglierei sempre di evitare questioni di questo genere che ci conducono altrove.
    Tornando a uno dei punti: ciò che ci (eventualmente) modifica dev’essere necessariamente percepito come una minaccia o un pericolo? Io voto no.

  6. Pensa un po’che uno dei tanti modi diversi di piazzare i punti di questi sociogrammi è parente stretto del metodo PCA che cita Davide …

    C’è in sostanza la stessa matematica dentro e serve a mettere in evidenza i punti trainanti …


    Sociogramma MDS

  7. Io non sono molto dentro al pensiero scientifico, ma concepire il progresso in modo lineare, i rapporti causa effetto come determinanti nelle azioni umane, nonché il sapere suddiviso in specializzazioni rigorosamente separate tra di loro, sono modalità tipiche di una concezione autoritaria e oppressiva del sapere e della società. Oggi credo sia risaputo che gli stessi modelli teorici possono essere applicati con successo in biologia, come in sociologia o in informatica, ma l’organizzazione burocratica nega l’evidenza e riproduce i rapporti di potere come se la realtà fosse un’altra, quella tradizionale, quella a cui siamo abituati a credere (o che fa più comodo per evitare cambiamenti sociali). A scuola si continua a “insegnare” senza tenere praticamente in conto gli studi sulla psicologia dell’età evolutiva, mentre addirittura c’è chi ipotizza “mutazioni digitali” nelle nuove generazioni e le misura in base alla “esposizione” agli schermi! Che è in realtà alla fine un modo per assecondare in modo del tutto passivo il “mercato”.
    Se anche le persone normali scoprissero che “google” usa gli stessi modelli della botanica… rischieremmo tutti di trovare la cosa interessante e magari anche divertente. E forse avremmo voglia di fare qualcosa anche noi… E questa è una cosa assolutamente da evitare! 😦

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