I granci della marana — Irene Bernasconi e la Casa dei Bambini di Palidoro

Irene Bernasconi, insegnante montessoriana nell’Agro Romano del 1915, Maria Montessori, l’Unione Femminile Nazionale, il Comitato per le Scuole dei Contadini, la Società Umanitaria di Milano, le Case dei Bambini, la diffusione delle Case dei Bambini nel mondo,

Ho letto un libro bellissimo. L’ho scoperto grazie a un servizio di Wikiradio, su Radio Rai 3. Lo consiglio a chiunque si occupi di scuola, specialmente agli studenti di Scienze della Formazione Primaria.

Irene Bernasconi, insegnante svizzera (Chiasso) di 29 anni, dopo avere ottenuto l’abilitazione al metodo montessoriano presso la Società Umanitaria di Milano, nel 1915 si reca a Palidoro, nell’Agro Romano. Scrive il 6 dicembre:

Avevo scelto di fare scuola in un posto dove non voleva andare nessuno, fra gente primitiva, bisognosa di affetto; fra bambini anche sporchi, scalzi, stracciati: Bambini vicini alla terra. In questo posto perduto nel fondo di qualche valle poco conosciuta o in un luogo abbandonato nelle desolate lande della Maremma… e Palidoro è, al dire dei ciociari, la ” Maremmaccia”. Era il posto che faceva per me , quello che andavo cercando … Mi dissi fortunata di averlo trovato e decisi di restare.

Credo che la lettura di questo diario sia un’ottima introduzione al metodo di Maria Montessori, in equilibrio fra teoria e pratica. Appena finito mi sono subito procurato alcuni testi originali: Psicoaritmetica, Psicogrammatica e Psicogeometria. Tanta della nostra “cultura” è fatta di letture secondarie, delle volte anche solo di sentito dire. Ma niente dà quell’idea di nutrimento pieno come le fonti primarie.

Nel diario di Irene Bernasconi il metodo emerge da episodi specifici. Scrive il 23 febbraio:

Checchinello compone bene con le lettere mobili, ma non sa scrivere.

Ma il 28 febbraio:

Mi sembra di non esagerare definendo mirabolante ciò che ha fatto oggi Checchinello: lui che non sapeva scrivere, leggere sì, scrivere proprio no, ecco che prende del gesso e sul pavimento, a caratteri chiari, scrive: asilo, sole, luna, toto, remo. Non lo nascondo, questo è stato per me un piacevolissimo avvenimento. Per tutto il pomeriggio ha poi continuato a scrivere.

Checchinello aveva quatto anni. Oppure:

Non sembra vero eppure è così: Toto conosce tutte le lettere dell’alfabeto; io non ho insegnato che le vocali, certamente lui è arrivato a conoscerle con lo stare appiccicato ad Adriana.

Irene non racconta solo di successi, anzi. La fatica e le frustrazioni sono quotidiane ma già dalla descrizione di singoli fatti emerge il metodo:

Nessuno porta a termine il disegno sul foglio che ha la sagoma da colorire; restano poi scontenti e di malumore se insisto nel porgerglielo. Amano molto di più fare il disegno libero, allora eseguono con delicatezza e impegno… e io lascio fare. Perché soffocare, restringere il loro pensiero entro il contorno di un circolo, di un triangolo? E poi, per me, la guida più sicura mi viene dai bambini; almeno così penso e così dico…

3 marzo

Poi nei mesi la consapevolezza di Irene si esprime in modo disteso. Scrive il 20 maggio:

Come e quanto bisogna rispettare qualsiasi sentimento del bambino se vogliamo comprenderlo e quindi educarlo! È necessario osservarne attentamente ogni mossa, non lasciarsi sfuggire alcuna parola, studiarne la mimica del viso e specialmente cercare di adeguarsi alla sua vita interiore di fanciullo se vogliamo arrivare a capirlo.
Farci bambino e ascoltare pazientemente i suoi discorsi, con visibile interesse, perché il mondo infantile, popolato di esseri anche strani e fantastici, è quasi completamente chiuso ed estraneo a noi che, forse con troppa facilità, asseriamo di comprendere e convinti di ciò, indirizziamo il bambino per la via che pretendiamo sia per lui la più adatta.
Io credo invece che raramente, o meglio non tutte le volte, noi incontriamo i suoi desideri. Che cosa so io di quello che fabbrica la sua mente? Posso solo fare supposizioni. Io lavoro a fin di bene, sono abbastanza serena, ma credo che non arriverò mai a comprendere ciò che frulla in quelle testoline; mi pare che in esse tutto subisca una continua trasformazione. Dico questo perché proprio stamane, un episodio mi ha indotta a queste considerazioni.
Si scorgevano sul mare calmo e azzurro delle barche a vela cui il sole dava una tinta rosa-palllido rendendo l’insieme veramente grazioso e i bambini ne erano incantati. Allora Toto mi disse: “Signorì, perché le barche sono tanto carine ora e quel giorno erano scure?” Credendo che volesse alludere alla tinta delicata delle vele, dissi che era il sole a renderle così carine, ma lui: “No, carine perché non fanno fumo, carine perché quasi non si movono e perché il mare è come una tavola…”
Riporto questo episodio ma quanti ve ne sarebbero!

Scriveva Carla Melazzini — altra grande donna — in “Insegnare al principe di Danimarca” che occorre rinunciare alla presunzione pedagogica, delle volte occorre perfino rinunciare al primo strumento dell’insegnante: la parola. Tutto lo scritto di Irene è pervaso da questa umiltà e dalla capacità di valorizzare risultati apparentemente minimi.

Irene scrive in chiusura, il 29 giugno:

Ho cercato di fare il mio dovere, ma ora mi si permetta una confessione: ebbi modo di leggere alcuni diari di “Case dei Bambini” nei quali le Signorine vantavano i modi ‘graziosi’ dei loro allievi. Non lo nascondo, rimasi male; i miei piccoli non sanno non essere sgarbati tra di loro, usano modi cortesi raramente e solo quando non trovano ostacoli al loro volere. Io ne soffro e, per rasserenarmi un poco, mi dico: i bambini dell’Agro sono più naturali, più sinceri! Se non riuscii a rendere più graziosi i loro modi, sono però fiera di constatare che questi piccoli, i quali in principio venivano sporchi e assai trascurati nell’abito e nella persona, e di ciò non sembravano darsi pena, ora chiedono grembiulini e bavarole sempre più puliti.

Sono tanti i pensieri liberati da questa lettura. Accenno ad alcuni, giusto nella forma di suggerimenti, perché meritevoli di ulteriori approfondimenti e nella speranza di far venir voglia a qualcuno di leggere il libro.

La memoria

Il diario narra di un tempo sì remoto ma non poi così tanto. Sono abbastanza grande da avere avuto nonni che a quell’epoca erano adolescenti in luoghi non lontani, e sono stato fortunato per averci vissuto insieme, specialmente il nonno, contadino, che m’ha fatto da maestro d’asilo. Assegnandomi piccoli compiti di vangatura o di “raddrizzamento di chiodi vecchi” — che non si doveva buttare via nulla — mi faceva scuola. Una scuola fatta di precetti anche ingenui ma che non facevano certo male e soprattutto di racconti. Pianse il nonno quando lo tolsero da scuola dopo soli due anni per mandarlo a vangare, nel 1907.

Tratto da Felice Socciarelli: un ricordo. Felice Socciarelli è stato il marito di Irene Bernasconi. L’immagine raffigura un gruppo di bambini presso una delle “lestre”, capanne di falasco usate dalle popolazioni nomadi che scendevano dalla ciociaria per attendere alla coltivazione del grano dall’autunno a giugno, per poi tornare sui monti onde fuggire dal rischio mortale della malaria.

Mio nonno era più o meno coetaneo dei bambini qui sopra, nella “Maremmaccia”, terra di stenti e povertà, e non doveva essere tanto differente. Per non dimenticarsi mai da dove proveniamo.

I materiali

Per migliaia di studenti sono “quello delle tecnologie didattiche”, che mi sono ingegnato di illustrare in questi anni, nei modi più diretti e concreti possibile. Automaticamente l’enfasi oggi è sulle tecnologie elettroniche. Ma leggendo il diario di Irene, sono rimasto affascinato dall’impiego dei materiali concepiti da Maria Montessori e non li trovo desueti ma perfettamente attuali e idonei. Tutte le volte che Irene ne cita l’uso una nota rimanda all’illustrazione e alla spiegazione del materiale in questione.

Nelle future edizioni dei laboratori di tecnologie didattiche li proporrò in forma propedeutica alle tecnologie elettroniche, senza soluzione di continuità. In questo trovandomi in accordo con Franco Lorenzoni, quando dice che prima di 7 anni anni sarebbe bene che i bambini si cimentassero soprattutto con la realtà fisica. L’ho sempre pensato ma ora sono più sicuro sulle modalità. Sono ancora più convinto di questo in seguito allo studio della letteratura neuroscientifica. Se dovessi riassumere in una frase quanto appreso da Antonio Damasio, Stanislas Dehaene, Joseph Ledoux, Terrence Sejnowski, Barbara Oakley, Beth Rogowsy, Daniela Lucangeli: il cervello è la sede dei pensieri ma solo in quanto parte di un corpo pensante, ogni deprivazione sensoriale del bambino contribuirà ad una minorazione dell’adulto che sarà. Maria Montessori aveva visto straordinariamente lontano.

L’attivismo femminile del primo Novecento

Il libro è arricchito da contributi di vari studiosi — Lorenzo Cantatore, Elio Di Michele, Nina Quarenghi, Laura Rossin, Hilda Girardet, Egildo Spada, Marta Mattiuzzo, Marcello Teodonio — sulla didattica e sul contesto in cui si è dipanata la vicenda di Irene Bernasconi nell’Agro Romano. In Analfabetismo, Scuole rurali, Metodo di Hilga Girardet, emerge un ruolo decisivo di donne impegnate in un tempo nel quale il ruolo femminile era ancora fortemente condizionato in ambiti rigidi e limitati. Si può dire che l’avventura di Irene sia nata grazie all’impegno dell’Unione Femminile Nazionale, nella quale un gruppo di nobildonne e signore dell’alta borghesia milanese si prodigavano in opere a favore di giovani donne, su temi attinenti la maternità e l’infanzia, e nella sensibilizzazione intorno alle questioni del suffragio universale, della parità salariale (non ci siamo ancora!) e giuridica dei sessi. Fu nell’ambito dell’Unione Femminile che venne aperta la Sezione Romana dell’Unione, dalla quale nascerà il Comitato per le Scuole dei Contadini, presieduto da Anna Fraentzel e composto dalla scrittrice Sibilla Aleramo e dal suo compagno, lo scrittore Giovanni Cena.

Le Case dei Bambini nel mondo

E sempre tenendo presente quali fossero i limiti imposti all’espressione femminile in quegli anni, non può non generare profonda meraviglia come il pensiero di Maria Montessori si sia diffuso in pochi anni in tutto il mondo. Se la prima Casa dei Bambini — si chiamavano così le prime scuole nelle quali veniva applicato il metodo Montessori — fu istituita nel 1907 nel quartiere di San Lorenzo di Roma, fra gli anni Venti e Trenta altre scuole erano già sorte in tutti i continenti.

Immagine tratta da Psicogrammatica di Maria Montessori (FrancoAngeli editore, 2017), a sua volta tratta da un’edizione del 1934 di Psico Aritmética, Casa Editorial Araluce, in spagnolo).

Se ne contano una cinquantina in questa affascinante mappa, che comprende Americhe, Europa, Africa, Russia, India, fino alla Cina, all’Australia e la Nuova Zelanda! Oggi le scuole Montessori sono oltre 60’000 nel mondo, ad esempio 4500 negli Stati Uniti, 1100 in Germania. In Italia se ne contano circa 200. Non ha aiutato il fascismo, dal quale Maria Montessori fuggì per poter esprimere il suo pensiero come voleva. Non ci fa onore questa storia. Ma oggi?

Il collegamento fra Italia e Russia

Il fenomeno raggiunse anche la Russia ma, stando alla mappa, solo Mosca — le dittature soffocano la vita. Tuttavia sarebbe interessante esplorare le relazioni intercorse fra Italia e Russia intorno ai temi della formazione, considerata la tradizione pedagogica russa. Ci deve essere altro, al di là di quella singola esperienza montessoriana moscovita perché, come ha scritto recentemente il regista Kirill Serebrennikov

La cultura in Russia si fa sempre nonostante, a dispetto e contro lo Stato. Lo stato e la politica in Russia uccidono e dividono. Distruggono le famiglie. Distruggono vite. La cultura salva e raccoglie ciò che è ancora umano nelle persone.

Kirill Serebrennikov, Smalto rosso.

In uno dei saggi inclusi nel libro — Questa via delle tombe. L’Agro Romano nelle scritture europee tra Ottocento e Novecento di Marcello Teodonio — viene citato l’interesse maturato dallo scrittore russo Michail Andreevič Osorgin per quelle lande quando visse a Roma fra il 1908 e il 1916. In particolare Osorgin organizzò trasferte per insegnanti e studenti russi in Italia come rappresentante della Commissione per escursioni didattiche a scopo di perfezionamento professionale. Chissà se fu grazie a tali relazioni che una Casa dei Bambini fece la sua comparsa a Mosca?

E oggi? Ebbene, esiste la Фонд Монтессори (Fondazione Montessori) che pare assai attiva: le ultime notizie su ricerca di insegnanti e su corsi di Filosofia, teoria e pratica della pedagogia montessoriana risalgono al 2 giugno. La cultura fatta nonostante lo stato, come diceva Serebrennikov. La speranza è l’ultima a morire.

1 commento su “I granci della marana — Irene Bernasconi e la Casa dei Bambini di Palidoro”

  1. A Fregene, sabato 18 giugno, ore 18,30 presso il giardino della Biblioteca Gino Pallotta via della Pineta di Fregene, 140 un gruppo di quaranta studentesse dei vari ordini scolastici e donne di diverse età leggerà il testo integrale del Diario di Palidoro.

    Si tratta del testo che rappresenta il nucleo del libro a cura di Elio di Michele “I granci della Marana. Irene Bernasconi e la Casa dei bambini di Palidoro” edizioni il formichiere di Foligno.

    https://www.terzobinario.it/fregene-40-voci-femminili-per-il-libro-sulla-casa-dei-bambini-di-palidoro/amp/

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