Riunisco in questo Daily tre diversi argomenti che possono sembrare diversi, ma che sono uniti da un filo tanto sottile quanto importante.
Una storia
La storia raccontata da Marta, da leggere. In silenzio.
Quando l’istruzione è inutile
Immagino qualcuno: “Ma perché ha la fissa dell’istruzione? Noi si studia medicina!”. In realtà me lo sono chiesto io stesso. Rispondo quindi – anche a me stesso: perché riflettere su cosa voglia dire imparare è utile per imparare per davvero. Ho riscontrato su di me, e su innumerevoli esempi di altri, che la cosa non è per nulla scontata, con pesantissime conseguenze pratiche: spreco di risorse (tempo e denaro), pericolosa imperizia sdoganata da titoli di studio, abuso di potere.
Continuo quindi a raccogliere elementi. Chiara Grillandini rammenta un corso di informatica “normale”
Devo dire che nel passaggio in cui parla dell’ “inutilità” di un corso di informatica tradizionale, ho rivisto la mia esperienza di un semestre passato ad ascoltare uno che ti parla di come è fatta la CPU o di come funzionano i circuiti di un calcolatore, oppure ti insegna ad usare Excel (cosa che da un pò di tempo a questa parte insegnano anche alle elementari!) […] a parer mio, per imparare a usare un computer bisogna spippolare spippolare e spippolare…non importa sapere che 1Byte = 8bit!
All’inizio (nel 2001) iniziai così perché è così che si fa. Non essendo strettamente il mio campo, composi un “programma standard”, guardando quelli esistenti. Gli sbadigli a lezione, le risposte a pappagallo negli esami orali, i tentativi casuali nei quiz – le ho provate tutte – mi davano la sensazione di costringere i miei studenti nella sala d’attesa di una stazione dismessa, dalla quale si vedeva correre un treno velocissimo che non si fermava mai. Mi fu presto chiaro che bisognava saltare su quel treno, e di corsa, a costo di farsi male.
E se vogliamo avere una percezione immediata di quanto corra veloce quel treno, possiamo utilizzare l’osservazione fatta da Martina sperimentando PubMed – ero sicuro che qualcuno se ne sarebbe accorto!
Ho imparato le funzioni di PubMed attraverso i video tutorial nel blog del professore e per capire meglio facevo la stessa ricerca. Per esempio se lui stava ricercando “liver tissue” anche io lo facevo e così via.
Ecco mi ha colpito proprio questo: la stessa ricerca non dava lo stesso numero di risultati. A me 189892 contro i 188307 del prof. Ipotizzando che il video sia stato girato lo stesso giorno della pubblicazione nel post, in 13 giorni le pubblicazioni sono aumentate di 1585.
Questa è una piccola perla: se qualcuno avesse voluto un esempio pratico di quale debba essere l’atteggiamento di un ricercatore nel laboratorio, ecco, Martina con quelle due frasi l’ha chiarito perfettamente.
Matteo ha trovato un articolo sul Sole 24 ore nel quale si ipotizza che l’utopia di Dewey sia in realtà a portata di mano in internet, e suggerisce:
In effetti prof mi sembra proprio l’approccio d’apprendimento che ci propone.
Sì Matteo, grazie per aver trovato questo riferimento! Partendo dall’insopportabile claustrofobia di cui dicevo sopra e afflitto da una totale ignoranza in materia, mi sono messo a cercare se per caso qualcuno avesse mai parlato di questi problemi. Errando molto disordinatamente , unica guida la curiosità, mi sono imbattuto in una quantità di personaggi che si sono occupati di questi problemi, alcuni diciamo ufficialmente, altri di striscio, e mi sono meravigliato di quanto fosse stato pensato in proposito. Jean Piaget, John Dewey, Seymour Papert, Lev Vygotskij, Ivan Illich, ma anche Giovanni Papini, Marshall McLuhan, Peter Drucker, Ken Robinson, Don Tapscott, Isac Asimov, tanto per ricordare i primi che mi vengono in mente. Uomini molto diversi, di alcuni ho letto libri interi, di altri qualche brano, di altri ho visto un’intervista. Ma più che uno scoprire è stato tutto un riconoscere, o forse un mettere a fuoco sensazioni e intuizioni più o meno offuscate. Poi mi sono messo all’opera, ma non essendo né un cultore della materia né un intellettuale, ho proceduto con i miei strumenti, che sono quelli del ricercatore: fare ipotesi, attrezzare il laboratorio per testarla, fare l’esperimento, rilevare dati per vedere se fosse confutata, escludere i metodi palesemente sterili …
C’è un passaggio dell’articolo segnalato da Matteo che conoscevo:
L’approccio al sapere dei nativi digitali – ci dice Ferri – si basa sull’esperienza, è meno dogmatico del nostro, è attivo e non sopporta che i contenuti vengano semplicemente trasmessi dall’alto, in un rapporto uno-molti, com’è tipicamente quello tra l’insegnante e la classe.
Ecco, mi piacerebbe approfondire perché questa osservazione non corrisponde alla mia esperienza. Il mio approccio al sapere non è mai stato dogmatico ed è sempre stato attivo e non ho mai sopportato i contenuti trasmessi dall’alto. Infatti in classe ho sempre fatto una vita molto grama e non sono un nativo digitale – ho fatto in tempo a usare penna e calamaio in I e II elementare. Anzi, mi è assolutamente chiaro che se avessi avuto un approccio dogmatico al sapere e se non fosse stato un approccio attivo e molto pratico, non avrei mai cavato un ragno dal buco in laboratorio.
Censura
E infine, Alibianchi ci regala un prezioso esempio delle insidie che possono riservare gli ambienti chiusi, come per esempio Facebook:
Nella parte finale dell’intervista viene nominato il “Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca Mariastella Gelmini”.Il comitato studentesco di una nota Università toscana, si confrontava, promuoveva dibattiti, dialogo civile corretto pacifico sulle contestazioni e il dissenso generato in autunno dal d.d.l. 133/08 e 240/10. La discussione avveniva su Facebook, è stata censurata. Adesso il comitato si è ricostituito, ma resta il fatto che è stato facile mettere il bavaglio.
Testimonianza preziosa, da non dimenticare.
@Matteo
Sì. Io vedo questo post anche come una sorta di trittico. Al centro la formazione, cardine della società della conoscenza, con qualche scena che illustra la difficoltà di creare esperienze di apprendimento significative. Solo in un contesto di vera libertà è possibile lavorare sulla formazione.
La libertà, come la verità, è un valore che va protetto e sostenuto continuamente, nella memoria e nel presente. Camminando per i boschi dell’appennino si trovano innumerevoli tracce di un popolo che ha sofferto e lottato per la libertà, donne, uomini e bambini che già vivevano in condizioni difficilissime, che atterrirebbero chiunque di noi.
Ma se neanche un secolo fa si lottava per la libertà, anche oggi non siamo al sicuro. I rischi sono più sottili, subdoli. Grazie a Roberta che ha aggiunto una testimonianza relativa alla censura in FB. Aggiungo questa.
@M. Antonella
Ciao!
Grazie
🙂
questo blog mi sta veramente aprendo gli occhi…grazie davvero! lo ammetto, non pensavo che fosse così facile la censura…
All’inizio (nel 2001) iniziai così perché è così che si fa. Non essendo strettamente il mio campo, composi un “programma standard”, guardando quelli esistenti. Gli sbadigli a lezione, le risposte a pappagallo negli esami orali, i tentativi casuali nei quiz – le ho provate tutte – mi davano la sensazione di costringere i miei studenti nella sala d’attesa di una stazione dismessa, dalla quale si vedeva correre un treno velocissimo che non si fermava mai. Mi fu presto chiaro che bisognava saltare su quel treno, e di corsa, a costo di farsi male.”>
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Ciao, Andreas!
Ogni tanto mi soffermo a leggere i tuoi interventi a corollario di un corso
indubbiamente utile e interessante e che i miei impegni scolastici, para ed
extra mi hanno impedito di seguire come avrei desiderato.
Mi ha colpito e mi e’ piaciuta la metafora del treno in corsa, perché anch’io
negli anni 90 del ‘900, (come sembrano lontani, eh!?), avevo questa impressione, quando frequentavo i primi corsi TIC, e mi veniva spiegato, come a Chiara, il sistema binario, la differenza tra bit e byte, il funzionamento del CPU…
Ho imparato poi, facendo dei corsi on line, ma non corsi di informatica…
Corsi di didattica come quello di Italiano L2 ( Ca’ Foscari), o quello del Piano Poseidon, ( Indire), che prevedevano le TIC come strumento, non come argomento…
E sono salita sul treno in corsa “spippolando”, “smanettando” e imparando da quelli che ne sapevano piu’ di me, come te…
Un altro (brutto) esempio di probabile censura su Fb (Facebook ha disattivato l’evento “Aiutaci a diffondere la pagina per il si al referendum contro il nucleare”, creato da un gruppo non ben precisato di attivisti; 3.000.000 di inviti) con un pretesto abbastanza risibile: “marketing commerciale”. E’ evidente comunque che l’evento Fb non è lo strumento adatto per iniziative simili.
http://on.fb.me/eCCCgv
Chissà…il filo sottile che unisce questi tre argomenti è più sottile di quanto io sia riuscito a immaginare, e magari anche più interessante, o più suggestivo; ad ogni modo, a me è venuto in mente che in tutti questi tre paragrafi c’è una sfida lanciata ora verso l’ordine imposto (l’occupazione tedesca), ora verso un’atteggiamento educativo tanto consolidato quanto di dubbia efficacia (quello tipico della nostra scuola: verticistico, asimmetrico), ora verso le indicazioni ministeriali in tema di università. Tre scene in cui sono evidenti dei protagonisti attivi in ordine alla costruzione della (propria) conoscenza, o della propria esperienza di vita.
Siccome amo molto Iva Illich, vorrei segnalare questo sito dove chi non lo conoscesse può trovare qualche indicazione preliminare per avvicinarsi alla sua opera, la cui lettura, secondo me, sarebbe molto importante per un aspirante medico, se non addirittura imprescindibile.
http://www.altraofficina.it/ivanillich/default.htm