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Ricevuto il primo lotto di 15 router TP-LINK TL-MR3020 da consegnare piratizzati agli arditi aspiranti sperimentatori, prima di continuare con tutto il resto, ivi compreso l’ordine di altri 15 router, mi accingo a provare l’installazione su un paio di essi – vedi mai che Murphy ci voglia mettere la coda…
Ce l’ha messa: le scatoline non si lasciano trasformare, né di diritto né di rovescio. Calma. È l’ora di rammentarsi delle raccomandazioni di un famoso hacker – ve lo farò conoscere – in merito al modo corretto di porre domande:
Prenditi tempo. Non aspettarti di risolvere un problema complicato con una ricerca di pochi secondi in Google. Leggi e cerca di capire le FAQ, siediti tranquillamente, rilassati e dedica del tempo a riflettere sul problema prima di interpellare gli esperti. Credimi, loro saranno in grado di capire dalle tue domande quanto ti sei impegnato nella lettura e nella riflessione, e ti aiuteranno più volentieri se sei preparato. Non sparare subito il tuo intero arsenale di domande solo perché la tua prima ricerca non ha dato nessun risultato (o troppi risultati).
Mi sono allora documentato intorno al problema, ho cercato testimonianze di problemi simili in rete e in alcuni forum di discussione specifici, ho riflettuto formulando ipotesi che ho messo alla prova sperimentando, quindi ho posto il problema nel forum specifico – non vi preoccupate del merito, ora concentriamoci sul metodo. Nel frattempo non ho demorso e non mi sono messo ad aspettare passivamente una soluzione confezionata. Anche perché questa è gente che in gran parte presta la propria opera in forma volontaria. Ci vuole pazienza, e intanto si può continuare a lavorare intorno al problema. Vado quindi nel canale IRC di PirateBox – i canali IRC sono spazi di chat privati molto usati da persone tecnicamente competenti per scambiarsi problemi e soluzioni – e pongo succintamente il problema. Ricevo un consiglio. Sperimento subito: no, non è quello il problema. Però, il tipo di osservazione che ho ricevuto mi pone nell’atteggiamento mentale corretto. Mi viene allora un altro dubbio, sperimento: Eccolo!
Vado subito ad annunciare la soluzione del problema sia nel forum che nel canale IRC, affinché nessuno investa il proprio tempo in un problema già risolto. Ecco la risposta ricevuta in PirateBox IRC:
Ah, ok, cool! Enjoy your box then ^^
Ah ok, ganzo! Divertiti con la tua scatolina allora ^^
Coglieremo l’occasione di discutere in maniera approfondita l’alto valore etico, l’onestà, il principio di effettiva meritocrazia che permeano le comunità hacker. Passione per la soluzione del problema, sinteticità, educazione, attenzione per il lessico e l’ortografia, spirito maieutico sono valori espressi a profusione in quelle comunità.
Inevitabile cogliere il contrasto con la sciatteria, la maleducazione e la bieca finalizzazione ai propri interessi che infesta tante email, scritte anche da persone di rango – tanto diffusa quanto insopportabile l’abitudine di non rispondere, espressione di somma maleducazione – anche se tu sei grosso ed io piccolo.
E non si pensi che si stia ragionando di marziani spersi chissà dove nel cyberspazio. Nei prossimi due giorni sarò a fare lo studente, dove giovani del genere mi insegneranno a fabbricare una stampante 3D. Sono giovani che hanno ideato una stampante innovativa – Fa)(a, in un Fablab di provincia, il Fablab di Contea. Il workshop a cui parteciperò insieme ad altri apprendisti avrà luogo presso LOFOIO, un laboratorio nel cuore di quella che fu il cuore della Firenze artigiana – oramai invisibile al carnaio turistico – in Santo Spirito; un laboratorio emanazione del Fablab di Firenze, cui io appartengo – il più delle volte come studente – gente che collabora. Sono giovani animati dallo stesso spirito e che si muove secondo gli stessi principi degli hacker che dicevamo, software o hardware che sia, ormai indissolubilmente embricati.
Propongo infine, una breve lettura. Si tratta del testo scritto da uno studente, Marco Tondelli, intorno ai temi del software libero, dell’etica hacker e del cyberspazio. Scritti come quello di Marco, o quello di Martina, pubblicato in questo blog qualche mese fa, sono importanti, perché dimostrano come sia possibile avvicinare alla tecnologia persone giustamente recalcitranti a ingaglioffarsi giocando a cricca, che invece scoprono la possibilità di trarre il cervello di muffa… ma insomma, godetevi il testo di Marco…
Potenzialità e rischi del cyberspazio, vantaggi del software libero
Non nascondo che, nell’accingermi a produrre questo elaborato sull’etica hacker ed il software libero, sono stato assalito dalla mia usuale diffidenza verso il mondo dell’informatica e della fantomatica “rete”, novello idolo della presunta modernità; diffidenza, dicevo, che nasce, senza dubbio, da una conoscenza superficiale che si accompagna, però, anche ad un certo senso di sufficienza.
Senza potere (né volere) prescindere dalla mia formazione, ho cominciato a leggere i vari articoli dell’indice ragionato di “iamarf.org” e, tuttavia, avevo negli occhi l’immagine di Machiavelli che, caduto in disgrazia presso i Medici, è costretto a “ingaglioffarsi giocando a cricca”con i frequentatori dell’osteria di S. Andrea in Percussina, ma alla sera “trae il cervello di muffa” e, smessi gli abiti coperti di fango e indossati “panni reali e curiali”, viene “ricevuto amorevolmente” dagli “antiqui uomini” (trovando così ristoro e riscatto dalle sue presenti miserie nella grandezza delle opere della classicità), e risentivo nelle orecchie l’eco delle parole del classicista André Chénier (“Sur des pensers nouveaux faisons des vers antiques”) che, pur aperto a contenuti nuovi, voleva fare salve le sacre forme della classicità.
Per me è, allora, iniziato un percorso di scoperta che, in primis, ha di certo colmato alcune delle lacune che avevo (molte, inevitabilmente, permangono), ma, soprattutto, mi ha mostrato come il “mio” mondo e quello, che pregiudizievolmente consideravo arido e freddo, dell’informatica e del web siano molto meno lontani di quanto pensassi.
Innanzitutto, ho ravvisato, nell’opera del programmatore, che scrive un codice (spero i termini siano esatti) per far fare alla macchina un qualcosa, il concetto greco di “téchne” (anticamente quasi inscindibile dalla “epistème”) e, cioè, di tecnica considerata non come mera attività meccanica distinta e separata dalla conoscenza, ma come attività sì culminante in un prodotto che è, però, prodotto del sapere e dello spirito e, dunque, comporta implicazioni di carattere etico legate al suo valore ed alle sue potenzialità.
E poi, “sine ullo dubio”, ha agito prepotentemente su di me il fascino del paragone, stabilito nell’articolo di “iamarf.org” sulle categorie di software, tra lo “scrivere” un programma (atto creativo!!!) e l’atto magico: subito ho sentito riecheggiare il Montale di “Non chiederci la parola” (“[…] Non domandarci la formula che mondi possa aprirti […]), che pur negando che la parola poetica possa ancora avere il magico potere di cogliere il senso del mondo, tuttavia in parte avverte il fascino della magia del Simbolismo.
In questo mio aprirmi all’etica hacker e in questa mia graduale scoperta ho elaborato una riflessione: dal momento che ciò che prima consideravo “quella roba lì” è alto prodotto della conoscenza, non solo tale prodotto merita rispetto, ma esige anche libertà e condivisione.
Mi pare di aver compreso come il cyberspazio, in quanto “medium”, consenta (seppur limitati) degli spazi di libertà (“condicio sine qua non” per la creatività), cosa diversa per i software, prodotti che, in quanto tali, appartengono (a livello giuridico) ai loro creatori, a meno che questi rinuncino a parte del loro diritto di proprietà.
A questo punto sento di dover prendere una posizione: se il software proprietario, per me, rimane un po’ “quella roba lì” (certamente utile e ingegnoso, ma nulla più di un prodotto che compro ed uso), i software liberi sono, invece, prodotto dello spirito e strumento di libertà.
Infatti, non solo permettono la libera fruizione di quella che è la realizzazione di un’idea, ma anche la condivisione dell’idea all’interno di una comunità (e l’uomo, ricordiamolo, è “zoon politikon”), per cui si innesca un processo dove ciascuno opera al perfezionamento del software stesso in un tentativo di avvicinarsi a risultati sempre migliori; tutto ciò è vicino alla maieutica socratica: ognuno ha il codice sorgente e cerca di migliorarlo traendo da sé tali miglioramenti sulla traccia fornitagli dal software stesso.
Appare, perciò, evidente la superiorità non solo morale del software libero che, che in virtù della sua gratuità, si situa su un altro piano rispetto alla mera merce, ma anche a livello di potenzialità e di qualità intrinseca poiché costantemente soggetto a miglioramento ed adattamento alle esigenze dell’utilizzatore che si eleva egli steso al livello demiurgico del programmatore.
Infine, vorrei abbracciare nella mia riflessione il tema del cyberspazio, dello sconfinato mondo virtuale che dà l’illusione di una totale libertà ( a che prezzo, però?) celando in sé, al contempo, numerosissime insidie.
A tal proposito, vorrei partire dall’analisi illuminata che Karl Popper fece del mezzo televisivo qualificandolo come strumento di potere incontrollato che induce a conformismo e consumismo, estremamente pericoloso proprio a causa della totale mancanza dei contrappesi che, in democrazia, ciascuno potere ha; trovo, infatti, che tale qualifica di (potenziale) nemico della società aperta si addica perfettamente anche al cyberspazio.
Qualcuno potrà sostenere che, in quanto mezzo, il web è neutro, ma, proprio essendo neutro, esso può divenire veicolo di qualunque contenuto ed essere piegato od ogni interesse privatistico e perciò esso presenta delle insidie e dei possibili pericoli enormi; ciò non implica una richiesta di controlli statali (necessari, ovviamente, in presenza di reato) che limiterebbero il sacro diritto di espressione, tuttavia data l’importanza (ma anche la potenziale pericolosità) del mezzo ognuno deve sentirsi fortemente responsabilizzato ed in dovere di esercitare il proprio senso critico perché quello che potrebbe essere uno spazio di libera creatività non divenga (se già non lo è in gran parte) strumento di omologazione e perché quella che potrebbe essere la nuova agorà (non per sostituire, ma per affiancare quella fisica) per il libero scambio delle idee non divenga, invece, l’inquietante teatro di nuove (e virtuali) adunanze oceaniche!
Sempre un piacere questi post e i commenti dei colleghi… e si ravviva sempre il desiderio di imparare cose nuove, soprattutto di SPERIMENTARLE.
Mi diverto in questo blog proprio per queste aperture reali e fantastiche che realizzo di aver vissuto, quasi in prima persona, solo dopo aver letto.
Grazie e complimenti
Ciao
Costantino
Reblogged this on Il Blog di Tino Soudaz 2.0 ( un pochino) and commented:
Mi piacciono LOFOIO e tanti altri concetti contenuti in questo articolo a più mani:
Bella la tua riflessione, bella quella dello studente: siamo proprio nell’ambito del cambiamento, imparare-apprendere… mutare.
E che dire dello smanettatoio ? Fare è pensare.
Senti senti la Scuola come implora: “Fate che anche da me sia così! Mani testa cuore…”.