Il mio caro amico maialinporcello in un commento al post precedente mi chiedeva com’era andata al BarCamp di VeneziaCamp. Rispondo brevemente, poi però colgo l’occasione per approfondire un pochino una questione che mi ha sempre turbato parecchio.
È andata molto meglio della maggior parte dei tanti convegni ed eventi ai quali ho partecipato in passato. Ho conosciuto persone che fanno cose interessanti e mi è piaciuta l’atmosfera informale.
C’è tuttavia una cosa che non mi è piaciuta: il cartellino (badge) che ci si deve appuntare da qualche parte per essere riconosciuti, come accade in tutti gli altri convegni. Questa volta sul cartellino c’era scritto BLOGGER. Si tratta certamente di un dettaglio marginale rispetto al valore dell’evento in sé e non mi sono certo irretito solo perché mi hanno dato questo cartellino ma la riflessione che ne emerge non è affatto marginale.
Io non sono un blogger, anche se in certi periodi scrivo molto sul blog, commento molto quelli degli altri, ne seguo svariate centinaia, talvolta esorto le persone a trarre vantaggi dall’impiego di un blog e scrivo articoli su “come stare online”.
Semplicemente, impiego il blog in alcuni aspetti della mia attività quando questo si rivela utile per gli obiettivi che mi sono prefissato.
Io non sono un professore, anche se insegno all’università.
Semplicemente, svolgo le funzioni di professore nei precisi momenti nei quali faccio cose utili (forse) per gli studenti che mi vengono affidati in alcune precise circostanze. Quando esco da un istituto e passeggio per la città oppure a casa, dopo avere risposto alle email degli studenti, giro in Internet per i fatti miei, allora non sono un professore ma sono uno dei tanti.
Io non sono un fisico, anche se ho conseguito una laurea in fisica, ho insegnato fisica per un po’ e ho scritto degli articoli di fisica.
Semplicemente, sono uno che in alcune circostanze tende a vedere il mondo in modo conforme ad un paradigma di conoscenza che nella nostra epoca è unanimemente condiviso per costruire quella conoscenza del mondo che chiamiamo fisica.
Io non sono un matematico, io non sono un informatico e via e via …
Io non sono intelligente, anche se mi sono laureato, ho ricoperto un ruolo di ricercatore e poi di professore, ho accumulato un curriculum, ho risolto alcuni problemi o capisco qualche lingua o altro ancora.
Semplicemente, sembro intelligente ad alcune precise persone e in alcune precise circostanze. Ad altre persone ed in altre circostanze sembro del tutto stupido. Per esempio, quando non capisco le questioni di politica universitaria e magari mi chiamano per votare in una certa adunanza e per un certo fine e poi voto all’incontrario perché non ho capito la questione, ebbene allora sembro decisamente stupido.
Io non sono buono, non sono cattivo, non sono pigro, non sono attivo e via e via …

Domenica scorsa sono stato all’ultima messa celebrata da Don Alessandro Santoro, l’ultima prima di essere confinato nel limbo affinché si ravveda e impari a non dare più scandalo, per ordine del vescovo Betori. Una delle tante storie – queste sì effettivamente scandalose – di piccoli grandi uomini che si scontrano con il potere.
Don Santoro, fra tante altre cose, ha richiamato l’attenzione sull’abuso frequente dell’aggettivazione [o predicato nominale] – buono, cattivo, intelligente, stupido, volenteroso, pigro, sincero, bugiardo, nero, bianco, ateo, credente, dotto, ignorante … – e ha ricordato che invece ci dovremmo sempre riferire alle persone con il loro nome e basta. Ogni persona ha la sua storia, unica al mondo, la sua particolare combinazione di sensibilità e di attitudini, le sue particolari ed uniche potenzialità. L’attribuzione di un’etichetta ad una persona equivale all’imposizione di un limite che impedisce di conoscerla, equivale a ridurre le possibilità di comunicarle e di comprenderla.
Lo stesso concetto è stato evidenziato molto chiaramente da Massimo Papini, professore di neuropsichiatria infantile, nella discussione che è seguita alla proiezione de “Il grande cocomero” nell’ambito di CIN@MED, dove ci si riferiva in particolare alla relazione fra il medico ed i suoi piccoli pazienti e i loro genitori.
La questione che si pone, quando in una relazione di cura si ignorano le etichette e ci si avvicina alla persona, è quella del pericolo di un eccessivo coinvolgimento emotivo che può per esempio minare l’azione professionale e dar luogo a fraintendimenti.
In questa strana e ipocritamente ovattata società la parola pericolo fa paura. Sembra che tutto debba esser fatto senza correre rischi. Eppure ci sono tante attività nelle quali il rischio è evidente e inevitabile. Volare, navigare, abbattere un albero, montare un ponteggio, costruire un tetto sono tutte attività pericolose. Si possono prendere cautele ed evitare di fare sciocchezze ma non si può eliminare il pericolo. Ci si assume un rischio inerente ad un’azione perché ci si aspetta che questa rechi un beneficio, ci si aspetta che ne valga la pena.
E in mestieri come quello del medico o dell’educatore, non vale forse la pena di correre qualche rischio per conoscere meglio la persona da curare o da educare al fine di compiere azioni utili anziché dannose?
Fra le migliaia di studenti che ho conosciuto ce ne sono tanti che hanno fatto esperienze di studio all’estero oppure che sono stranieri e sono venuti a studiare in Italia. Io amo parlare con i miei studenti e in questi casi, se le circostanze lo consentono, chiedo loro di raccontarmi le loro impressioni sul confronto fra i diversi sistemi di istruzione. Fra le tante considerazioni particolari vi è un elemento ricorrente: la mancanza di rispetto che in Italia si ha per l’allievo.
Altrove, in generale, gli studenti vengono ascoltati e le loro impressioni contano nella valutazione della qualità degli insegnamenti, con conseguenze concrete. Il fatto che, per esempio, un professore non si presenti ad una lezione è un fatto grave e va giustificato. I rapporti sono molto più informali e esorbitano facilmente dall’ambito rigido della lezione frontale. Si fa tanta più pratica e tanta meno teoria e questo facilita ulteriormente la personalizzazione delle relazioni.
Qui uno studente è un membro dell’insieme degli studenti e basta. Raramente diventa una persona. Il professore è difficilmente accessibile, non ama essere messo in discussione, tende a sottovalutare le valutazioni degli studenti.
Studenti e professori son ben schermati dietro alle rispettive etichette.
La formalità delle relazioni inter-categoria e l’informalità di quelle intra-categoria creano un banale e ipocrita concetto di rispetto che congela le relazioni personali importanti e crea mostruosità sociali. Tante scuole e università italiane, se pensate come soggetti in un mondo dove
- le organizzazioni operano in un contesto estremamente competitivo e dinamico
- l’utente è universalmente posto al centro
- la conoscenza è perseguibile in una grande varietà di modi anche nuovi e diversi
- l’autorevolezza non è più solo amministrata ma è anche e forse soprattutto continuamente rinegoziata,
ebbene, tante delle nostre scuole e università sono delle mostruosità burocratiche, scarsamente produttive e gestite in modi arcaici.
Gli studiosi di tecnologie per l’insegnamento sostengono che affinché queste possano essere adoperate con successo è necessario valorizzare la centralità dell’utente. Un buon esempio per esempio è questa relazione di Mario Rotta, recentemente apparsa anche nella pubblicazione Cittadinanzadigitale (Edizioni Junior, 2009) curata da Luisanna Fiorini.
È vero purché non si pensi che la centralità dell’utente sia una questione che concerne solo l’impiego di nuove tecnologie e in particolare che sia un effetto magico di quest’ultime. Le nuove tecnologie applicate alla formazione, così come la scuola e l’università nelle loro forme più convenzionali possono funzionare in modo adeguato rispetto alle necessità della società se si rimette lo studente al centro, sì, ma partendo dal rispetto per la sua persona, al di là di ogni sua apparenza e appartenenza.
È prima di tutto una questione di rispetto.
P.S.
Può essere interessante vedere questo video di Ken Robinson …
Questo tuo “ sesto senso”, M. Elisa, penso sia assolutamente fondato. Di fatto noi tutti alla nascita siamo stati catapultati in un mondo alla cui costruzione hanno contribuito da secoli migliaia di menti umane, tutte diverse, con bisogni, desideri e pensieri diversi. Nasciamo di fatto in una specie di rete culturale e quindi anche religiosa che ci intrappola in quei momenti in cui ancora non abbiamo strumenti idonei per poter decidere autonomamente. Mi sono sempre chiesta il motivo per cui tutti quei sacramenti, che sono comunque considerati dalla Chiesa fondamentali, di solito vengano somministrati nella primissima parte della nostra vita, quando ancora siamo assolutamente immaturi, anche da un punto di vista culturale. Io non ricordo di aver avuto una larga possibilità di scelta alla mia prima comunione, o almeno nessuno me l’ha imposta, ma probabilmente a quella età ancora non avevo gli strumenti adatti per confrontarmi con l’essenza del Divino.
Dio e Chiesa…non riesco neancora a trovare il giusto filo di collegamento…E’ così strano chiedersi quale sia il bisogno reale di costruire una gerarchia intorno al “Divino”? Perché cercare di dare una forma umana e razionale a qualcosa che non possiamo comprendere razionalmente? Credo che la Chiesa pecchi troppo di presunzione cercando di propinarci varie certezze, quando forse il vero senso della fede risiede nel dubbio, dato che l’essenza dell’uomo è il dubbio. Invece, quando un tempo andavo ogni domenica alla messa, mi sentivo come intrappolata in quelle facce che esprimevano certezza, in quelle voci di preghiere stereotipate e reiterate, molto lontane dalla mutevolezza del nostro pensiero. Molte volte mi trovo a pensare a Dio, ma in realtà non ho mai percepito la sua vicinanza (o meglio quella strana sensazione indescrivibile a parole per cui senti Altro da te) durante una Comunione o una Confessione. Eppure durante una Comunione, dicono, si dovrebbe parlare con Dio. Ma perchè qualcuno ci dovrebbe dire quando, come e dove farlo? Al contrario di fronte a un mare in tempesta, a una paesaggio innevato, in una giornata di pioggia, una mattina nebbiosa che dalla stazione cammino fino all’Università, nelle baie sperdute dei fiordi norvegesi dove ho trascorso quest’estate…in molti momenti simili, in stralci di vita comune, mi è sembrato almeno di intravedere un barlume dell’esistenza di un qualcosa di Altro. Credo però, nonostante i vani tentativi, mai riusciremo a trovare un modo per dare una forma percepibile a questo “Altro” e a volte mi trovo a sorridere di fronte a coloro che ingenuamente pensano di avere in mano una qualche verità e provo rabbia per chi con arguzia trae profitto dalle false verità…
In seno alla Chiesa ci sono tantissime contraddizioni. E Mine, tu ne hai colte alcune, molto importanti.
Anche io so poco della vicenda di Don Santoro, ma mi sono commossa quando ho sentito la notizia, pur sapendo già come sarebbe andata a finire, c’era da aspettarselo. Credo che sia una cosa meravigliosa il gesto di Don Santoro, due persone che si amano, oltre tutto, oltre i pregiudizi, oltre le idee artefatte della istituzione chiesa e della gente comune si possano unire in matrimonio, sigillando il loro patto di amore sotto lo sguardo del Signore. Non credo che Gesù sarebbe stato contrario all’unione di due persone che si amano…quanto meno dai “documenti”che abbiamo non possiamo dirlo con certezza. Ma lui era un uomo meraviglioso, che amava sopra tutto e sopra ogni cosa, aveva dentro sé quell’amore divino, ereditato direttamente da suo Padre…e non posso immaginare che entrambi possano rabbrividire di fronte a un’unione nel segno dell’Amore!Siamo noi che con le nostra società, con i nostri costumi e modificando in modo forzato il Vangelo siamo giunti a conclusioni assolutamente non logiche, non lineari…ricordiamoci un po’ di storia (leggi età dei Greci, dei Romani e Medioevo) e vedremo che molte idee della istituzione Chiesa vengono prese pari pari da lì…e diciamo che non sono state prese proprio le cose migliori. Quindi io ci tengo a non sottomettermi così, gratuitamente. Almeno mi faccio crescere il dubbio se ne valga la pena o no.
Io non so se esiste Dio. Sinceramente mi viene difficile ammettere che esista, eppure fino a pochi anni fa tutte le domeniche ero a messa. Ma…un sesto senso mi dice che quelle che mi hanno raccontato per anni sono storie inventate da una mente umana, che desiderava avere in testa l’idea di essere sempre accompagnato da qualcuno, per essere sempre protetto, sempre avvolto in un braccio caldo, soprattutto nei momenti di estrema difficoltà, per non sentirsi mai sola, mai vulnerabile, impotente, debole.
Mentre Gesù…avrei voluto tanto conoscerlo, tanto averlo avuto per amico. Avrei voluto confidargli i miei dubbi e le mie perplessità, sempre sicura di trovare un appoggio, una risposta piena di serenità. Lui è un esempio per me. Un uomo da stimare, da cui imparare enormemente…e per questo concordo con vivo un morire.
Io credo in Dio attraverso l’esempio di Gesù.
Io credo in un Gesù vivo e non solo crocefisso, sebbene l’articolo di Travaglio sia profondamente vero secondo me.
Io credo che un prete si debba occupare di cose che riguardano la morale, lo spirito, la pace interiore dell’individuo, che sia presente quando lo stesso individuo lo cerca per chiedergli aiuto, e spesso queste richieste attingono al senso di smarrimento, di solitudine, di incertezza.
Io adoro il professor Papini (mi son persa il suo intervento SOOOB!!!) che a lezione ogni volta riesce ad instillarmi dubbi e certezze insieme, di certo riesce a confermarmi nella scelta universitaria che ho fatto.
Ho a che fare con i bambini: le mie 2 figlie, i bimbi di altri, i bimbi sani e quelli meno sani del reparto di Neuro Psichiatria Infantile, ed i bambini sono gli unici che Gesù salva sempre e comunque (sarà un caso?) e per i quali dice: “In verità vi dico: chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino non entrerà in esso.” (Mc. 10,13-16).
La mia scelta non è casuale, nè per quanto riguarda il percorso di studi, nè per quanto riguarda la mia solidarietà a Don Santoro, pur facendo parte della mandria degli obbedienti a quel fantomatico “esercito” che riconosco appartenermi solo in parte. Io rifletto su questo: la Bibbia è un libro, cioè è un oggetto, mentre l’esempio di Cristo è concreto, ed è a quello che mi voglio conformare, anche se le schiere eclesiastiche si sbrodolano a suon di dictat; credo anche che l’esempio di preti come Don Santoro siano più importanti di mille encicliche! Sarò blasfema che vi devo dire?
Pat alias egocentricamente alias vio un morire.
ciao martin m’immaginavo questa risposta e son contento che tu me l’abbia data perché permette d’inquadrare la questione nel suo vero punto centrale
ti rispondo velocemente perché c’ho furia
io condivido quest’opposizione alla chiesa-esercito sotto 2 punti di vista: personale e della chiesa stessa
– da quello personale io non son legato alla chiesa, non m’interessa quali sono i suoi dogmi, quello che c’è scritto nella bibbia, nient’altro: m’oppongo alla chiesa-istituzione-odierna (perché magari un domani la chiesa-istituzione mi piacerà, chi lo sa) perché non mi piace e perché considero di una qualità molto più elevata la chiesa costituita dai vari don santoro..
– dal punto di vista di chi alla chiesa ci crede ma la vorrebbe diversa: la battaglia contro le istituzioni è anche in ‘sto caso valida in quanto la bibbia non è letta alla lettera neppure dalla chiesa-esercito, bensì intepretata.. (sono piuttosto i testimoni di geova che la leggono alla lettera, mi si corregga se sbaglio) solo il messaggio di fondo è chiaro e tutti vi sono d’accordo: amore… (vorrei dire altro cose ma bisogna che riassuma)
nel levitico (è uno dei libri della bibbia) c’è scritto che l’omosessualità è un abominio, ma c’è anche scritto che pure MANGIARE CROSTACEI E’ UN ABOMINIO.
ma nessuno, neppure la chiesa esercito, dice che non si può mangiare crostacei.
il discorso è che perfino l’istituzione chiesa dice che la bibbia va interpretata, e per mantenere il potere fa il giochetto per cui il papa in materia di fede è infallibile, come dire: chiunque può dire quello che vuole sulla bibbia ma alla fine chi c’ha ragione siamo noi.
ecco, questo è esattamente quello che i cristiani “veri” secondo me devono e possono fare: smettere di attribuire alla chiesa-istituzione la corretta interpretazione della bibbia… e se davvero vogliono una chiesa diversa, che si battano per questa… capisco che qui si apre molto il discorso e vengon dubbi e domande… alla base vi è lo scontro fra relativismo e assolutismo… vorrei parlarne ma non ho tempo né spazio
– aggiungo infine un terzo punto di vista, quello della chiesta-istituzione-odierna stessa: anche se fossi all’interno della chiesa e considerassi sbagliato il matrimonio celebrato da santoro troverei esagerata la punizione in quanto paragonabile a quella data a dei preti pedofili con ritardo di molti anni.. come dire: la colpa di santoro anche qualora fosse colpa non può essere punita con la stessa misura con cui vengono puniti – QUANDO vengono puniti e non semplicemente spostati – i preti pedofili
inoltre la situzione di sandra, la donna nata uomo sposata da santoro, è molto “border line” e non c’è scritto niente in proposito nella bibbia e da quanto sappia io neanche nel diritto ecclesiastico: chi l’ha detto che la sessualità di una persona corrisponda alla sessualità biologica? la psicologia inquadra la cosa sotto tutto un altro punto di vista, ma lasciamo perdere la psicologia: addirittura un prete normalissimo (per niente un “don santoro” per intenderci) che insegnava religione alle superiori a un mio amico spiegava che la vera sessualità riguarda la mente più che il corpo, e (su questo non mi addentro anche perché io proprio non apprezzo la categorizzazione – in linea col post di andreas – neppure in campo sessuale.. i confini fra uomo, donna, trans, gay, etero, bisex ecc. sono molto sfumati.. alla fine sono semplici “aggettivi” con cui bisognerebbe stare attenti a non etichetare troppo le persone..)
ecco perché trovo ancora lecito schierarsi con don santoro
devo scappare ciao 🙂
@sandro
la predevedibilità della reazione della Chiesa sta nel fatto che è proprio la Bibbia a condannare gli omosessuali. Io ho il tuo stesso – mi sembra di capire – concetto di amore cristiano ma evidentemente o la chiesa lo interpreta male o lo interpretiamo male noi!! per questo i due piani: da un lato io mi sento sopraffatto dalla bellezza del messaggio di base di cristo (ama come ami te stesso) dall’altro non posso condividere la concezione ecclesiastica dello stesso. Ergo la mia posizione rispetto alla chiesa. Non si può immaginare di cambiare una sua istituzione pretendendo di sovvertirne dei punti fondamentali e di principio, altrimenti la si trasforma in qualcosa che essa stessa nega. Non so se riesco a spiegarmi. Ad esempio una “battaglia” su una amministrazione meno da s.p.a. del denaro (o del potere rispetto all’Italia) è una lotta sensata per un cattolico, proprio perché l’amministrazione di questo del Vaticano contraddice i principii alla base della cristianità stessa. Ma chiedere di stravolgere concezioni basilari come queste sulla sessualità secondo me rappresenta la pretesa di uno stravolgimento impossibile. Lo so, questo ha per conseguenza una visione della Chiesa cattolica come un organismo incapace di innovarsi, vecchio, incoerente e ipocrita. Ripeto: da qui le mie posizioni sulla chiesa.
ps
come puoi pretendere che accettino di mettere sullo stesso piano tutti i possibili “amori” se hanno avuto il coraggio di dare pubblicamente del boia a Peppino Englaro?
..e poi… la prima a contravvenire al proprio statuto è proprio la chiesa, impelagata com’è in porcai politici e d’8 per 1000 e scandali vari..
.. la chiesa non è una questione di statuti, è di potere..
@ martino: non credo si tratti di confondere i 2 piani “personale” ed “istituzionale” della questione: io li distinguo credo benissimo ma in questo caso prendo posizione contro quello istituzionale perché mi pare che sbagli. i 2 piani non vanno confusi ma sono strettamente interconnessi, in quanto si influenzano a vicenda: ecco perché le persone che non si trovano d’accordo con le gerarchie hanno tutti i diritti e forse i doveri di contrastarle anche quando è ovvio che esse gli remino contro
nel caso di santoro, come ho già detto da molte parti:
– una cosa è sapere che era ovvio che la chiesa (o gerarchia ecclesiastica che dir si voglia: sono semplicemente parole, l’importante è aver chiaro il concetto) reagisse come ha reagito (in realtà la punizione che gli hanno dato sarebbe – anche dal punto di vista istituzionale – troppo dura anche qualora la “colpa” di don santoro si rivelasse davvero tale..);
– un’altra è volerne cambiare lo statuto per farlo coincidere con quello di cui la “chiesa” si riempie la bocca ma solo in piccola parte dà: l’amore.
tutti, cristiani e non, religiosi e non, possono protestare quanto gli pare e tentare di cambiare le cose senza per questo confondere un bel niente.
io per es. alla chiesa non do la benché minima autorità né in materia di fede né in materia politica ma questa battaglia mi va ugualmente di combatterla, per il semplice fatto che preferirei vivere in una società in cui la chiesa – se vi è presente – fosse una chiesa “alla don santoro” (che poi è solo uno dei preti bravi, mica l’unico!) e non l’accozzaglia di burocrati dai cuori aridi che c’è ora.
vale lo stesso per la politica: è ovvio che l’istituzione politica sia corrotta e/o eccessivamente burocratizzata, ma questo non mi distoglie dal tentare di cambiarla insieme ai suoi “statuti”, semmai mi motiva di più a farlo.
se si facesse tutti come dici te saremmo continuamente a dire “le istituzioni si stanno comportando male. ma è ovvio che facciano così: c’è scritto nei loro statuti!” senza poi fare niente per cambiarle.
gli statuti si scrivono e si cambiano: se non vanno più bene, si cambiano.
chi ci tiene alla chiesa, è giusto che la voglia cambiare. stop.
@martinoaniello–> io invece non appartengo alla chiesa per scelta ben precisa; sono cresciuto all’ombra del campanile, poi me ne sono allontanato perchè trovavo ingiusto soprattutto il completo disinteresse della chiesa nel porsi al passo coi tempi. le leggi (o regolamenti, o statuti, o “catechismi”…) sono un qualcosa di STORICO fatto per regolamentare il comportamento dell’uomo, che deve sempre adeguarsi a questo e ai suoi bisogni. l’uomo si evolve, e deve andare incontro alle leggi come le leggi devono andare incontro all’uomo! è un dato di fatto che le persone possano amarsi anche se appartenenti allo stesso sesso; oppure può capitare che una persona senta il bisogno di un “cambiamento” radicale della propria persona…e allora? la chiesa dovrebbe considerare la bibbia un bel documento storico e rinnovare un pò il proprio catechismo. invece che fa? NIENTE: pensa solo a condannare. questo è il mio pensiero.
sarà che non ho alcun legame con la Chiesa, ma credo che questa questione sia tristemente banale. Una associazione ha uno “statuto” (che per la Chiesa cattolica è il “Catechismo della chiesa Cattolica”, badate la Bibbia è più di uno statuto) che sancisce ciò che sta dentro da ciò che sta fuori. Come potete pretendere che le gerarchie acclesiastiche accettino che un uomo ed una donna nata uomo venagno uniti in matrimonio al pari di uan coppia propriamente etero? con il concetto che hanno di natura!?? Con tutte le pagine della Bibbia che condannano l’omosessualità e tutte le forme di “perversioni” ??Io penso che tutti gli uomini siano uguali, che non ci siamo comportamenti sessuali immorali. Io aborrisco il concetto di natura cattolico. Ed è per questo che non appartengo alla chiesa cattolica. Voi confondete due piani: quello della personale ricerca e concezione di sentire religioso (che ciascuno ha) ed il piano della religione istituzionale, quella ceh deve essere oggettiva e per tutti. A me questa sta stretta e infatti me ne discosto. Non si può stare con un piede in due staffe
@martinoaiello –> Salve a tutti. In merito alla questione su Don Alessandro mi sento di dover rispondere con una citazione di un altro sacerdote: “L’ubbidienza non è più una virtù”. Questa frase fu pronunziata da Don Milani, ed è chiara dimostrazione del fatto che l’essere “cristiano” non significa necessariamente obbedire alla gerarchia. Io vedo nel gesto di don Santoro molta più “cristianità” di tante omelie e valanghe di parole spese al vento, magari pronunziate la domenica dai bei balconi vaticani.
Fatti. Mancano troppo spesso i F A T T I.
Io sostengo quella chiesa che mi piace definire UNDERGROUND: la chiesa fatta di uomini che aiutano i poveri nelle missioni, che raccolgono barboni e prostitute dalle strade, che salvano i giovani dalla droga…che, insomma, mettono davvero in pratica gli insegnamenti di Dio!
L’altro giorno, pensando al caso di Don Alessandro, mi è venuto spontaneo paragonarlo a Don Mazzi: vi ricordate quel prete piccoletto con gli occhiali, sempre circondato da ballerine mezze nude, che partecipava a “interessantissimi programmi culturali” come DomenicaIn o Quelli che il calcio? Ecco, a lui la Chiesa non dice niente, forse perché ritiene importante portare il messaggio del Vangelo in tv. Forse è questo l’operato che non nuoce alla Chiesa e alle anime dei cristiani! Invece punisce don Santoro, togliendolo da una comunità che lui stesso ha costruito, e di cui è un elemento insostituibile. E per cosa? Per aver benedetto durante una messa due persone che si amano, indipendentemente da tutto, da ogni pregiudizio; non dice forse il Vangelo che davanti agli occhi di Dio tutti siamo uguali? A quanto pare siamo davanti ad un’altra grande contraddizione.
Concludendo, la citazione “l’ubbidienza non è più una virtù” ci ricorda che, se siamo convinti della loro ingiustizia, dobbiamo lottare contro leggi e regolamenti che riteniamo ingiuste, in nome delle cose in cui realmente crediamo. Meno male che ci sono persone che hanno ancora il coraggio di farlo.
In merito invece alla questione dei crocifissi nelle classi, allego un link di un articolo di Travaglio che, senza mezze misure, fa riflettere sulla gravità della questione legata a questo “simbolo”.
http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2373449&yy=2009&mm=11&dd=05&title=ma_io_difendo_quella_croce
Faccio fatica a distinguere. Le gerarchie formano la struttura che sorregge un’organizzazione e senza gerarchie questa collassa. Che rimane? Singole persone qua e là, che vengono, a ben vedere tollerate fino a quando superano un certo limite.
L’organizzazione, tramite le gerarchie si occupa in realtà di politica, la chiesa è politica di fatto. Dall’altro lato alcune persone al suo interno e non solo, vivono tentando di attuare il messaggio evangelico.
Non vedo cosa ci sia nel mezzo.
Il Vangelo parla dell’uomo e non delle organizzazioni e una gran parte di prese di posizione e azioni della chiesa sono incompatibili con il Vangelo. Non in ultimo conquistare il territorio con il crocifisso.
Forse sarebbe il caso di distinguere tra chiesa e gerarchie cattoliche…
non posso evitare di commentare per sottolineare quanto il video di Ken Robinson sia fantastico, divertente e pieno di verità.
perchè borbottiamo ancora sulla validità della chiesa…solo i suoi “fedeli” membri sono accollati a questo concetto che tanto sfruttano nella bilancia economoplitica…non dovremmo porci domande sul chi vince o chi perde in questo “dialettico conflitto”(perchè tale è sempre stato) Dio-chiesa…non esiste conflitto perchè esso è dato da privazioni imposte dalla società,qui esiste solo la nostra libertà che ci fa vertire la dove sentiamo di riporre la nostra fiducia,la nostra coscienza…Guardiamo la Natura, ammiriamola, impariamo, mutiamo insieme ad essa…Dio potrebbe essere poprio sotto i nostri piedi, potrebbe essere la terra che calpestiamo quotidianamente, non andiamo a guardare troppo lontano disprezzando ciò che ci offre l’occasione e la fortuna di vivere tutti i giorni…Ps.grazie Andreas…
Ho la sensazione che le persone che ” … credono che Dio e chiesa non necessariamente coincidano e vanno dalla parte di Dio” siano veramente tante ed è veramente sconvolgente che la chiesa non se ne renda conto o, forse più probabilmente, sia così cinicamente amministrata da abbandonarle per calcolo politico … e così sarà sempre più, semmai è stata qualcos’altro, una chiesa fatta di fanatici e bigotti … che so, una cosa tipo leghisti di Dio … insomma … una cosa ributtante e pericolosa …
condivido ogni singola parola scritta da andreas nel post, che considero uno dei suoi più belli
bravo andereas!!!
@ martinoaiello: caro martino non si tratta di stupirci di quello che era chiaro che sarebbe successo, ma di premere affinché le cose e le istituzioni cambino in favore della creatività e delle ventate di vita e – perché no – dell’amore che gli nascono in seno.
Santoro e altri preti come lui sanno di appartenere a un esercito che esige obbedienza, ma quello che non dobbiamo dimenticare è che sono entrati in quell’esercito per obbedire ad una legge ancora più grande che è quella che loro riconoscono in Dio.
non è un caso che molti preti diventati tali per seguire “la legge dell’amore” si siano poi scontrati con quell’esercito che hanno scoperto promulgare “l’amore della legge”, come ha detto all’ultima messa di don Santoro alle Piagge un prete che molti anni fa diede le dimissioni per questo stesso motivo.
se l’esercito di cui fanno parte comincia ad andare contro Dio, i preti in gamba fanno assolutamente bene a combattere l’esercito stesso nel quale sono.
ed io, che in accordo con quel che dice Andreas nel suo post mai e poi mai mi definisco “religioso” o “non-religioso”, voglio comunque essere dalla loro parte, anche se, come dici tu, è ovvio che la chiesa-esercito li ostacoli.
fra Dio e la chiesa non può vincere la chiesa.
(è in questo che sta l’intero cuore della questione: alcuni di noi credono che Dio e chiesa coincidano e vanno dalla parte della Chiesa, altri credono che Dio e chiesa non necessariamente coincidano e vanno dalla parte di Dio)
Purtroppo, per quanto la trovi una cosa disdicevole, in questo commento sarò “di parte” riguardo alla faccenda del sacerdote. Infatti penso che, per quanto notevole e ammirevole sia la sua attività (che, e lo sottolineo, NON CONOSCO se non per quello che si è sentito in tv) sapeva di appartenere ad un esercito in cui è richiesta UBBIDIENZA. Purtoppo per autoconservarsi gli eserciti necessitano della spietata gerarchia, e di una ortodossia che stabilisca ciò che sta fuori da ciò che sta dentro.
Per cui di certo condivido il concetto di uguaglianza e rispetto per l’altro che percepisco dalla scelta da lui fatta, ma davvero vi stupisce che sia andata a finire così?
Gli eserciti sono stupidi, perché pretendono dai loro soldati che provino piacere nel marciare. Scusatemi il cinismo, ma è così che la penso.