Vedo che questo blog viene pascolato anche quando lo lascio incustodito. Informo allora i frequentatori nonché i visitatori occasionali che non sono scomparso, almeno per ora, ma che nel periodo estivo scrivo molto meno. Del resto, il fatto che il blog sia ormai uno strumento fondamentale nella mia attività di insegnante e ricercatore non fa di me un vero blogger.
Sopporto male le imposizioni come la routine e quindi la necessità di dover scrivere per forza qualcosa in preda all’ansia che il blog si addormenti. Che dorma pure perché in estate ho da fare altro e, a prescindere da ruzzi e relax di altro genere, questo è periodo propizio per studiare, riflettere e magari costruire qualcosa di nuovo.
Non è detto che non scriva più niente fino al prossimo ottobre. Eventuali post imprevisti appariranno sotto a questo che ho momentaneamente “appiccicato” in cima alla pagina.
Detto questo, caro visitatore occasionale, tu sei ovviamente benvenuto anche se, da amico, ti consiglio di approfittare del tuo tempo libero per fare di meglio, magari qualche bella passeggiata dalle tue parti che certamente non saranno prive di luoghi ameni da visitare.
Se poi sei proprio preso da insana curiosità di sapere cosa stia facendo, qui di seguito te lo racconto volentieri seppur brevemente …
Leggo e studio cose che mi aiutino a capire le ragioni dei successi e dei fallimenti delle mie blogoclassi. Scrivo software che mi consenta di recuperare ed analizzare le dinamiche delle classi degli ultimi due anni mediante gli strumenti della social network analysis.
Una delle fonti principali è Communities of Practice di Etienne Wenger (New York, 1998), il padre dell’idea di comunità di pratica. Quando rifletto su ciò che osservo nel metodo della blogoclasse scopro molte idee che ritrovo nelle più recenti teorie dell’apprendimento, in particolar modo in quelle che si rifanno al costruttivismo o al connettivismo. Tuttavia il concetto che ho trovato esser più vicino a ciò che vedo realizzarsi nelle blogoclassi è quello di comunità di pratica. Communities of Practice è un libro che sto centellinando per via dell’attinenza del pensiero di Wenger alla mia esperienza ed anche perché è molto denso e la sua lettura richiede adeguata riflessione.
In poche parole i membri di una comunità di pratica
- si riconoscono nell’identità creata da un dominio condiviso di interessi;
- danno luogo ad una comunità svolgendo attività insieme, discutendo, aiutandosi a vicenda e scambiandosi informazioni;
- sviluppano un insieme di pratiche comuni per condividere risorse quali storie, esperienze, strumenti, metodi per risolvere problemi.
Queste sono le tre caratteristiche fondamentali che descrivono una comunità di pratica e che a me pare di ritrovare in una qualche misura nella vita delle blogoclassi (A.R. Formiconi, La blogoclasse come comunità di pratica… intergenerazionale, In M. G. Fiore (a cura di), “Divenire digitali: riflessioni ed esperienze sul mutamento antropologico in atto”, Form@re, n°62, 2009)
Tuttavia, al fine di comprendere il fenomeno con maggiore profondità è molto interessante la discussione sulla negoziazione del significato che Wenger propone nel primo capitolo del suo libro. Secondo Wenger il significato compare nella nostra mente mediante una continua negoziazione con la realtà mutevole circostante. Tale negoziazione necessita di un delicato equilibrio fra i processi di partecipazione e di reificazione.
Mentre può essere abbastanza chiaro cosa si possa intendere per partecipazione senza andar troppo di fuori rispetto alle considerazioni di Wenger, estremamente circostanziate, per quanto riguarda la reificazione occorre specificare che ci si riferisce alla sua accezione più generale, ovvero quel processo con il quale la nostra mente congela le esperienze in “cose”, rappresentazioni astratte di oggetti.
Per precisare queste idee senza esorbitare dall’ambito di un post riporto la bella metafora con la quale Wenger chiude il capitolo (pag. 71) e che presenta nel seguente modo
In questa relazione [fra partecipazione e reificazione] la nostra esperienza ed il nostro mondo si plasmano a vicenda attraverso una relazione reciproca che coglie la vera essenza di ciò che noi siamo. Il mondo così come noi lo forgiamo, e la nostra esperienza così come il mondo la forma, sono come la montagna e il fiume. Essi si plasmano l’un con l’altro ma ognuno di essi ha la propria forma. Essi sono il riflesso l’un dell’altro, ma hanno ciascuno la propria esistenza, ciascuno nel proprio contesto. Essi si adattano l’uno all’altro, ma rimangono pur distinti. Essi non possono trasformarsi l’uno nell’altro, eppure si trasformano vicendevolmente. Il fiume scava solamente e la montagna guida solamente, ma in tale interazione, lo scolpire diviene guidare ed il guidare diviene scolpire.
La comunità di pratica rappresenta la prospettiva più interessante per spiegare la trasformazione dell’informazione in conoscenza ed è la prospettiva secondo la quale i fenomeni che hanno luogo nelle blogoclassi sono maggiormente comprensibili. Tuttavia, per quanto il pensiero di Wenger sia per me rivelatore, esiste il problema della soggettività delle percezioni. Le mie percezioni dei fenomeni nella blogoclasse non sono affatto illusorie e a furia di osservare e pensare le ho abbondantemente reificate (appunto) ma sono pur sempre soggettive e, se non altro, esiste sempre il rischio di enfatizzare ciò che ci sorprende piacevolmente rispetto a ciò che si classifica come banale e convenzionale evidenza.
Ora, poiché lo strumentario web 2.0 che serve a realizzare materialmente le blogoclassi mantiene traccia degli eventi in archivi che possono essere acceduti liberamente, diviene possibile ricorrere a metodi numerici per integrare le considerazioni soggettive e migliorare l’obiettività delle analisi.
Facendo questo tipo di considerazioni si scopre che in realtà la blogoclasse non è altro che un particolare tipo di social network e che i metodi di analisi dei social networks sono comparsi fra gli anni 50 e gli anni 60, quando Internet non esisteva se non sotto forma di avveniristiche intuizioni di qualche visionario. Si scopre inoltre che il testo di riferimento Social Network Analysis (di Stanley Wasserman e Katherine Faust, New York, 1994) è stato pubblicato precedentemente all’esplosione di Internet e alla nascita dei suoi social networks. Ci si rende così conto che l’enorme corpus di metodi matematici oggi disponibili per lo studio dei social networks è stato sviluppato per studiare le reti più disparate in condizioni nelle quali il reperimento dei dati richiedeva quasi sempre un lungo e complesso lavoro.
Viene quindi spontaneo domandarsi come usare tali metodi sui dati delle blogoclassi? La risposta viene da Internet stessa, in sostanza: mediante componenti liberamente disponibili in Internet sotto forma di pacchetti software open source. Vale a dire componenti liberamente utilizzabili da chiunque e, all’occorrenza, modificabili da chiunque.
Riporto qui un diagramma che illustra la combinazione di strumenti che sto utilizzando o sviluppando per analizzare le blogoclassi con i metodi della social network analysis.
In sintesi:
- i dati anagrafici degli studenti sono raccolti in un foglio di lavoro Google Docs che fu alimentato dagli studenti stessi mediante un apposito form al momento dell’iscrizione
- i dati su blog, post e commenti degli studenti sono recuperati in formato XML (standard libero) dal mio account dell’aggregatore Google Reader
- per l’analisi statistica dei social network e per la produzione dei sociogrammi impiego il pacchetto Statnet di R, un famoso ambiente open source per l’elaborazione statistica
- il tutto viene collegato mediante dei moduli software che sto scrivendo in linguaggio Ruby, sviluppato e disponibile in formato open source
- il precedente diagramma stesso è stato realizzato mediante un servizio web, CMAP, che consente di mettere in condivisione le proprie mappe con altri. Se cliccate sull’immagine raggiungete la versione viva, più facilmente leggibile e nella quale i link presenti nell’immagine vi portano verso le sorgenti dei vari componenti.
Qual’è il budget di tutto questo? Giusto il costo dei due libri che ho citato più quello di questi due manuali di Ruby che consulto per sviluppare il software. Meditate gente, meditate … passeggiando …
caro prof. sto perlustrando il tuo multiforme blog e comincio a orientarmi meglio! La parola “intergenerazionale” mi ha colpita: anch’io sono insegnante e i miei allievi, il prossimo anno vogliono sperimentare una open class! Sono arrivata qui perché sono iscritta a Teorie della comunicazione, nonostante la non verde età, sono convinta che si apprende per tutta la vita e si apprende meglio insieme agli altri:-) In vacanza sono nel mio sud, continuo a seguirvi con interesse prendendo appunti tra un riccio e una stella marina
Ciao a tutti
@Emanuela Zibordi
Certo che riuscirai! In ogni caso renderò pubblicamente disponibile quel poco che sto imparando a fare come i codici del software che sto scrivendo.
@egocentricamente
Si capisce, si possono fare viaggi straordinari facendo cose inusuali a casa propria …
Statemi bene 🙂
Gli studenti anomali (come me) invece ridipingono la propria casa e “vanno al mare” in città: piscine, pinete, pub all’aperto… e non è detto che tutto ciò sia una rinuncia.
Anche per me comunque è periodo di studio anche se più rallentato 🙂 buone vacanze!!
Grazie Andreas,
mediterò passeggiando in quel d’Irlanda, soprattutto su statnet. Riuscirò a saltarcene fuori?
Buone vacanze anche a te. 😉